CHIESA VIVA |
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Conoscere la Massoneria
Chiesa Viva n°353
Comunque, l’avvocato degli accusati, Fleischauer, rifiutò il rapporto dei due esperti svizzeri della parte avversa, dimostrando, in particolare, che l’ex-principessa Radziwill era una notoria intrigante, un’avventuriera condannata persino dal Tribunale dei Cap a 18 mesi di reclusione per falsificazione di cambiali. Quindi, le sue dichiarazioni distorte, sull’origine dei “Protocolli”, - insisté Fleischeauer non potevano servire di base per argomentazioni giuridiche. Quanto al conte du Chayla - continuò Fleischauer - nel 1920 era stato capo della propaganda nell’armata Wrangel, ma che fu ben presto smascherato come agente segreto bolscevico e vergognosamente espulso dall’armata. E che se non fu condannato a morte per alto tradimento, questo lo fu solo per l’intervento dell’Ambasciatore di Francia! Tutto questo, per un Tribunale veramente imparziale, sarebbe stato più che sufficiente per mettere in dubbio e la testimonianza dell’ex-principessa e quella dei conte du Chayla. Invece, no! Il giudice di Berna non tenne in alcun conto gli argomenti di Fleischauer, tacciandoli di elucubrazioni ispirate al suo anti-giudaismo per partito preso. E così, con la sua sentenza, che emise il 14 maggio 1935, il giudice Walter Weyer condannò gli accusati Silvio Schnell e Theodor Fischer ad una ammenda di 20 e di 50 franchi e ad un pagamento di spese giudiziarie di 32.270 franchi; il primo, Schnell, per la diffusione del libro dei Protocolli; il secondo, Fischer per la pubblicità che era stata fatta di questo libro sul suo giornale “Der Eidgenosse” (= Le Confédéré), e anche per un articolo chiaramente anti-giudeo. Gli altri tre accusati, invece, furono assolti. Nel suo verdetto, il giudice dichiarò testualmente: «Que les Protocoles sont une falsification et un plagiat et tombent sous le coup de l’articie 14 de la loi». La cricca giudaica esultò! Il fine era stato raggiunto: un tribunale svizzero aveva dichiarato “falsi” i Protocolli! Naturalmente, Schnell e Fischer ricorsero in Appello, e questo avvenne il 27 ottobre 1937 davanti alla “Chambre Correctionelle” de la Cour d’Appel de Berne. La difesa domandò, per prima cosa, la cessazione del giudizio e il rinvio della faccenda davanti al Tribunale di prima istanza; poi, l’assoluzione completa degli accusati. Il ricorso in Cassazione era legalmente promovibile per il fatto che il giudice non aveva fatto redigere il processo-verbale della disposizione dei testimoni mediante stenografi sotto giuramento, ma da stenografi privati, al soldo dei giudei accusatori, violando così il regolamento della procedura. Inoltre, aveva omesso di esigere la firma dei testimoni. Come motivo-supplementare di Cassazione si fece valere che nessuno dei documenti presentati dall’esperto Loosli, e che lui se li era procurati attraverso il Governo Sovietico, non erano stati legalizzati né certificati conforme all’originale, come pure le traduzioni fatte dal procuratore legale Dr. Lifschtz di Berna, le quali presentavano dei controsensi e delle omissioni. Lo stesso Procuratore fu obbligato ad ammettere questi errori di procedura. Il Tribunale, nonostante tutto, rigettò il ricorso in Cassazione, dichiarando che non c’erano stati vizi di forma reprensibili, così che la revisione di questo processo costoso era superfluo. La sentenza fu resa pubblica il 1° novembre 1937. l due accusati furono prosciolti. L’accusato Fischer fu condannato solo a un’ammenda come contributo alle spese di Stato per un articolo di giornale: “Jeunes filles suisses, méfiez-vous de satyres juifs!”. Nella “motivazione” del giudice, il Presidente Peter dimostrò che la legge sugli scritti sovversivi non prevedeva alcuna ordinanza di una “expertise”, e che questa non doveva essere ordinata. Il giudice del Tribunale di prima istanza avrebbe dovuto semplicemente decidere se il testo della “brochure” violava la legge, ma non se esso era autentico o no! Inoltre: la brochure non poteva essere qualificata come scritto sovversivo, perché essa non aveva alcun carattere immorale e non eccitava affatto al crimine. E, in quanto era solo uno scritto politico, esso doveva usufruire della libertà di stampa! Chiaro. Indipendentemente da questo, comunque, si volle provare che l’esperto Loosli era “parziale” e “influenzato”. Il processo era durato più di quattro anni. La cricca giudaica aveva voluto provare la “non-autenticità” dei Protocolli con l’aiuto di false testimonanze, con l’eliminazione di tutti i testi scomodi, con la redazione, mediante stenografi privati, dei processi-verbali dei dibattiti, e utilizzando delle pezze giustificative non legalizzate, delle traduzioni erronee e delle perizie tendenziose. E grazie a un giudice, membro del Partito marxista, la cricca giudaica riuscì, in prima istanza, abusando di una legge che non era applicabile comunque al caso, a far dichiarare che i “Protocolli” erano un “falso”. Ma il trionfo durò poco: la Corte d’Appello annullò la sentenza! Nota: il testo è tratto da un articolo pubblicato su Chiesa viva n° 179. |
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